Consorzio Fitosanitario Provinciale

Elogio ai “Bellussi”

di Claudio Corradi

Agli inizi del 1900 i fratelli Bellussi di Tezze di Piave, diedero vita ad una grande rivoluzione della viticoltura delle loro zone che rappresentò il passaggio epocale dal sistema di allevamento della vite ad alberata, basato sull’utilizzo di tutori vivi, alle strutture dedicate basate sull’utilizzo di pali e fili. Le idee sviluppate da Antonio Matteo e Girolamo Bellussi dal Veneto arrivarono ben presto anche nella pianura emiliana tanto che anche la viticoltura reggiana divenne un’importante interprete dei sistemi a raggiera. Nel 1950 la viticoltura reggiana vantava una superficie di circa 79.800 ettari dei quali solo 800 erano a coltura specializzata tanto che sui 79.000 ettari di alberata si stimava la presenza di 5 milioni di alberi tutori delle viti.  In quel periodo la produzione media provinciale era di 17-18 q.li di uva per ettaro.

Intorno al 1960 prese vita nel reggiano la grande trasformazione della viticoltura tanto che proprio in quel periodo nella nostra provincia nacquero quelle imprese che ancora oggi vengono definite di “impiantisti”, proprio per dare servizio e risposte alle esigenze di trasformazione della viticoltura di quegli anni.

I risultati furono sconvolgenti tanto che fra il 1967 e il 1978 furono messi a dimora 9.000 ettari di vigneti specializzati la cui produzione media arrivava ad attestarsi intorno ai 130-140 q.li per ettaro. Il merito fu soprattutto del felice approccio con i sistemi Bellussi, da subito considerati sistemi specializzati nonostante il fatto che nell’interfila si continuasse a produrre foraggio. Una sorta di consociazione che si protrasse ancora per diversi anni e che senza dubbio fu la responsabile del grande favore raccolto dai sistemi a raggiera ed in particolar modo dal semi-Bellussi (o Bellussi modificato, o mezzo Bellussi) perché offriva uno spazio più ampio per la produzione di foraggio nell’interfila. In effetti, nel reggiano c’è sempre stata una sorta di antagonismo fra i sostenitori del Bellussi classico e quelli del semi-Bellussi. Il primo derivava in forma più fedele dal modello friulano e prevedeva un sesto di palificazione di 6x6, con 4 viti per palo che nel punto di curvatura si diramavano a raggiera verso il centro del filare. Il mezzo-Bellussi invece offriva un sesto di 8 metri fra le file e 2 metri per la palificazione lungo la fila con viti orientate in senso perpendicolare rispetto al filare, una a destra e l’altra a sinistra dello stesso. Entrambi i sistemi consistevano in un’architettonica tensostruttura con pali posati su di un sottopalo in cemento, che ne evitava lo sprofondamento, aumentandone la superficie di appoggio e proteggendolo al contempo dall’umidità, e perfettamente ancorati su tutto il perimetro.

Elementi caratteristici fondamentali dei Bellussi erano la cosiddetta “rete”, primaria e secondaria, realizzata con fili ed anelli e che costituivano il reticolo di sostegno dell’impianto, ed i “rampicanti” che sostenevano la vegetazione dell’anno e venivano installati in posizione verticale. Nella nostra provincia ha forse avuto una maggiore diffusione il “mezzo Bellussi” che, oltre ai maggiori spazi per la promiscua foraggicoltura nell’interfila, dava anche l’impressione di essere più comodo da vendemmiare per la sua regolarità nella disposizione dei cordoni permanenti perpendicolari al senso del filare. Da non dimenticare che nelle nostre zone per la vendemmia dei Bellussi si diffusero carri attrezzati con apposite pedane che, costituendo un piano di lavoro largo quanto l’interfila, agevolavano considerevolmente il lavoro di raccolta e che nulla avevano a che vedere con le cosiddette “barche” che sono arrivate in tempi molto successivi e già di declino per il sistema di allevamento.

Questi sistemi, non nascondiamolo, quando si trovavano in non perfetto stato di manutenzione, potevano anche essere soggetti a crollo parziale o totale della struttura. In queste circostanze, che si verificavano in occasione di forti temporali estivi, i nostri viticoltori si sono sempre immediatamente rimboccati le maniche ed, armati della collaborazione degli agricoltori di confine, si prodigavano in un’immensa fatica fisica per rimettere prontamente in piedi questa bellissima cattedrale del Lambrusco. Il semi-Bellussi, in questo senso, era un poco più semplice da “raddrizzare”.

Anche questi spiacevoli episodi fanno parte del ricordo di questi sistemi di allevamento che hanno fatto la storia della nostra viticoltura rivelandosi delle vere e proprie macchine da produzione che nella maggior parte dei casi conducevano anche ad uve di grande qualità. Oltre a questo non vanno dimenticati i momenti di allegria che si trascorrevano all’ombra di questo magnifico reticolato nei giorni della vendemmia, dove i gruppi di lavori si affiatavano fra loro e nascevano amicizie. Ridendo e scherzando si raccoglievano dagli 80 ai 120 chili di uva in un’ora per persona. Nessuno studente di quegli anni ha dimenticato i piacevoli momenti della vendemmia del Bellussi, nei quali hanno avuto modo di farsi le loro prime esperienze di lavoro. Purtroppo in soli 45 anni questi sistemi hanno fatto la loro storia per lasciare spazio a strutture più moderne ed integralmente meccanizzabili. Nemmeno il tempo di imparare a chiamarli con il loro vero nome, in tanti li hanno sempre chiamati “Bellucci”!, che già li dobbiamo salutare.

Ma la cosa più straordinaria che la nostra viticoltura non dovrà mai dimenticare è il fatto che i Bellussi sono scomparsi per esclusive esigenze economiche e non certo perché inadatti (vedi grafico). Tutti i viticoltori reggiani sono concordi sul fatto che queste forme siano state sistemi di allevamento molto importanti per la viticoltura locale sotto tutti i punti di vista.

Purtroppo le oltre 400 ore ettaro di lavoro annuo per la loro gestione hanno fatto sì che nel reggiano oggi i Bellussi siano avviati a definitiva completa estinzione. Ad oggi solo il 16% dei 7500 ettari di vigneti coltivati a Reggio è ancora rappresentato da sistemi a raggi e la dignitosa uscita di scena sta procedendo al passo del 4% l’anno. Fra pochi anni la tipologia di vigneto che è stata responsabile del risorgimento della viticoltura reggiana uscirà definitivamente di scena in punta di piedi e con grande umiltà facendo spazio alle moderne forme meccanizzabili. Controspalliera e doppia cortina, oltre alla meccanizzazione, hanno una serie di importanti ed irrinunciabili peculiarità a partire dalla semplicità, dal maggior numero di ceppi per ettaro e dai minori costi, soprattutto di manodopera. E’ quindi fuori discussione la positività dell’evoluzione della viticoltura locale nonostante i piacevoli ricordi scolpiti nella memoria e che rappresentano lo scorcio di un’epoca della viticoltura reggiana.

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